Amélie Nothomb (1967) è una delle maggiori scrittrici di lingua francese. Autrice di grande carattere, unica e inconfondibile, pubblica un libro all'anno (in Italia, la sua casa editrice è la "Voland"). Belga, ha girato il mondo, e vissuto da piccola in Giappone. Dal romanzo autobiografico "Stupore e tremori", è stato tratto il film omonimo, uscito nel 2003, e diretto dal regista francese Alain Corneau (la pellicola è al momento disponibile su Netflix).
"Gli impiegati della Yumimoto,
come gli zeri, assumevano valore
solo dietro le altre cifre.
Tutti eccetto me,
che non raggiungevo neppure
il valore dello zero".
Troverà la solidarietà delle altre donne? Macché. Anzi, proprio una donna, Fubuki Mori, la principale carnefice, colei che la spingerà sempre più giù fino alla porta dei gabinetti, a pulire wc e cambiare rotoli di carta igienica. Amélie, che era stata assunta come traduttrice e impiegata, si ritrova, quindi, a ricoprire "l'incarico estremo: guardiana dei cessi" (pag. 75). Lei così ambiziosa, armata di entusiasmo, mai avrebbe immaginato tale esito. Eppure, Amélie non si dà per vinta. Trova in ogni paradossale situazione un motivo per riflettere, crescere, cambiare punto di vista, allenare il cervello. Diventare più saggia, impermeabile all'acqua delle tempeste. Amélie è una guerriera. Esce trionfante da ogni umiliazione: costretta, senza motivo, a scrivere centinaia di volte, la stessa lettera; a fotocopiare, inutilmente, migliaia di fogli che il capo getterà ogni volta nella spazzatura; invitata a non far niente, proprio così a non fare niente, per evitare di combinare disastri (quali disastri poi non si capisce...). Soprattutto Amélie avrà l'abilità di trasformare un'orribile esperienza in un romanzo: "Stupore e tremori", un titolo eloquente. Stupore e tremore sono le reazioni raccomandate quando ci si trova dinanzi all'imperatore. E nel libro di Amélie l'imperatore è appunto metaforicamente rappresentato da coloro che le danno ordini, i superiori, i quali non perdono occasione per schiacciarla e ridere di lei.
"Presentare le mie dimissioni
sarebbe stata la cosa più logica.
Però non riuscivo a decidermi in quel senso.
Agli occhi di un occidentale
non ci sarebbe stato niente
di infamante; agli occhi di un giapponese,
avrebbe significato perdere la faccia".
La preziosa lezione di questa storia tragicomica? Cercare la luce anche nel buio più tetro. Perché il bene, alla fine, vince sempre.
©micolgraziano
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