Cesare Pavese (1908 - 1950) con quest'opera, inserita all'interno di un trittico (l'edizione comprendeva tre romanzi brevi), vinse il Premio Strega. Pavese scrisse "La bella estate" nel 1940 e il libro venne pubblicato nel 1949.
“Sperava sempre, uscendo dall’atelier,
di trovare qualche novità sotto il portone,
e che non ci fosse mai nessuno
ad aspettarla le dava il senso
di aver perduto la giornata,
di essere già a domani, a doman l’altro,
e di aspettare aspettare
qualcosa che non veniva mai”.
Si cresce in fretta ne “La bella estate”. L’aria è aperta, bello godersela prima del freddo e della neve sui tetti. Ginia, la protagonista, è un’adolescente. La storia, narrata in terza persona, sembra, in realtà, confessione da un diario intimo. Per i passaggi repentini, l'ermetismo, la lingua domestica. Uno stile-calamita da cui è impossibile staccarsi. Non ha ancora compiuto diciassette anni, Ginia, l'ingenua. Chi la frequenta la chiama “scema”. Lei arrossisce. Si vergogna a farsi veder nuda, quando la luce è accesa. Non come la sua compagna di merenda, la sfrontata Amelia, conturbante, che si butta e quel che viene viene. Ventenne, Amelia, eppure per qualcuno è già “vecchia”.
Ginia esce con Amelia perché è attratta dalla libertà. Affascinata dal coraggio dell'amica di mostrarsi senza veli. Amelia posa come modella. Lo fa di mestiere. Quando non lavora se ne sta al caffè. Ginia lavora a casa e fuori. Si prende cura del fratello maggiore Severino, operaio che fa i turni di notte, e dorme di giorno. Ginia si mantiene con un impiego in un atelier. Le piace indossare cappellini. Trottare in giro con le smaliziate. Le gite in barca. Il cinema. Le passeggiate in collina, le sale da ballo e i bicchierini scolati a ravvivare l’umore.
La collina, luogo del cuore di Pavese, affascinato dalla campagna. Anche lui andava in campagna con gli amici, per poi fermarsi a bere un bicchiere di vino. Rosso no, perché gli ricordava il sangue. Preferiva il bianco. Amelia, senza freni cede all’istinto. Ginia, ingessata, vuole emulare Amelia e si lancia tra le braccia del soldato Guido. Che da Ginia prenderà il succo e lancerà via la buccia, quando sarà sazio. E lei che credeva che sarebbe stato per sempre.
Il titolo originario di questo romanzo breve di Pavese è “La tenda”, perché dietro la tenda di uno studio d’arte si consuma la passione. Dalla tenda sporgono occhi curiosi. Sguardi indiscreti dai quali Ginia si sentirà tradita e scapperà via umiliata. Lei, in bilico tra romanticismo e passione. Troppo fragile per sopportare menefreghismo e scherno.
Ginia è in cerca d'un sentimento lieve e delicato che certo non può arrivare dal frivolo Guido. E, alla fine, non le resta che Amelia. Conducimi tu, dirà infine Ginia. Pavese interrompe il racconto sul più bello. Il romanzo è frammentato come il cuore di Ginia e, sì, anche della disincantata Amelia. L’amore, tema centrale, non è foriero di gioia.
Dolore e pessimismo pervadono le pagine. Un grido soffocato che stride col magma festoso dell’incipit: "A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte".
©micolgraziano
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