Micro noir: "Volevo essere la sigaretta di Jean Paul" di Micol Graziano (cap. 5)

frutta

 Erin e la frutta sbucciata 

Riaffiorano pensieri. Le mani tu non ce l’hai, ringhiò la canaglia. Cosa?, sussurrai io, tremante, rigida, torrida, respiro affannoso. Incredula, gli chiesi di ripetere, e lui digrignò i denti: m'hai rotto i coglioni, ululò. Le parole, lama affilata, tagliarono l'aria. Sentivo il sangue scivolare. Gli tirai un cinque e filai. La carogna si era rifiutata di sbucciarmi la mela. Gino, la carogna, che pure aveva sempre assecondato il mio desiderio, un lunedì di marzo trovò la richiesta di sbucciare la mela, importuna e fastidiosa. Ero stropicciata. Il castello di carta stava franando. Tremavo. Pallida. Le unghie sfogliate. Ne ho piene le tasche di te, schiumò. Io, dopo l'intollerabile affronto, marciai in camera, agguantai la sacca e addio. Gino sputò insulti, scema gallina e peggio, abbaiò. Io sparii nel buio. Fanculo, pensai. Io e Gino ci rivedemmo mesi dopo in tribunale. Non raccontai nulla a mia madre, la perfida, lei avrebbe voluto vedermi cadavere e dunque assieme a Gino, ad ogni costo, per terrore di dover sborsare quattrini per camparmi. Parlai dell'episodio con la psicologa: Erin, cosa prova esattamente, chiese, perché non vuol toccare la frutta? Mi dà fastidio. Provo disagio. Delle arance mi fanno orrore gli spicchi. I fichi non li mangio. Mi sembra di...no, che vergogna, scusi, non ce la faccio. Sentii un calore salire fino alla fronte. Un fiume attraversarmi. La dottoressa domandò se la mangiavo, la frutta. Certo, ribattei. La mangio, la mangio eccome. È solo che non voglio sbucciarla. Non mi pare un dramma. Chi ti ama queste cose dovrebbe capirle, accettarle. È passato parecchio tempo. Perché oggi sto riavvolgendo il nastro di giorni orrendi? Sarà il sasso sul cuore, la paura che mi risucchia in fauci nere; il terrore degli altri, che mi tirano via spazio e respiro. Vorrei sparissero. O sparire io. Ma non saprei come levarmi di torno. Vorrei cancellare Jean Paul, chiodo fisso. Dopo la terapia, all'uscita, compravo sempre qualcosa, regali per me. Quella volta presi un disinfettante e un coltellino svizzero da tenere in borsa. Per placare i brividi freddi che provavo fra la gente. A casa cercai il numero di telefono d’un tizio incrociato in tram. L'avevo guardato lungamente, m’ero lasciata accarezzare da lontano. Gli chiesi un recapito. Lo invitai a casa. Ho delle lenzuola nero diamante, dissi. Lui accettò di buon grado. Arrivò puntuale.

©micolgraziano


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