Micro noir: “Volevo essere la sigaretta di Jean Paul” di Micol Graziano (Cap. 1)

sigaretta


Quella volta che lui mi disse

Jean Paul non era un granché. Aveva un’aria normale. Gli occhi piccoli. Le gambe storte. Camminava con passo da gorilla; incedere tozzo eppure fiero. Aveva donne a bizzeffe. Quando lo vedevo alla fermata dell’autobus, se ne stava in posa, col viso leggermente inclinato. Non temeva il presente. Né che sventure potessero spezzargli il collo; al contrario di me: la mattina uscivo di casa col terrore nel petto. I denti di Jean Paul erano perfetti. Jean Paul fumava. Mi piace chi fuma. E anch’io ho iniziato a fumare non soltanto per colmare un abisso di solitudine ma anche perché pensavo che fumando sarei stata più bella. Un giorno, non so neanche dove presi il coraggio, dissi a Jean Paul: vorrei essere la tua sigaretta. Lui, senza neanche alzare lo sguardo, rispose che gli facevo schifo e che il mio naso pareva quello di un maiale. Da allora non ci siamo più parlati. Adesso quando lo incrocio cambio strada. Credo, in fondo, vorrebbe che io gli andassi incontro, sorridendo con un cenno gentile delle dita. Brama, sì, di ferirmi di nuovo. Tagliarmi in due. Ho sognato di telefonare a Jean Paul. Ti odio, ti odio, ti odio, gridavo. Sappi che ho artigli affilati, una pistola nel cassetto. Queste cose gli ripetevo mentre, dal buio, due mani, lo afferravano alla gola. Gli occhi di fuori, Jean Paul latrava, contorto, il viso porpora, un’infinita lingua spugnosa dalla bocca. Ho aperto gli occhi e mandato giù sorsate vive di whisky.

©micolgraziano


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